Formazione

I figli dimenticati dell’Occidente

L'editoriale di Giuseppe Frangi sul tema della povertà all'interno dei nostri Paesi.

di Giuseppe Frangi

Nel migliore dei mondi possibili succedono cose che i nuovi ottimisti non amano raccontare. A New York, per esempio, qualche giorno fa abbiamo assistito a una scena da capitale di Paese povero: centinaia di persone accampate con sacchi a pelo davanti ai cancelli di una ditta siderurgica che aveva annunciato 40 assunzioni. L?Organizzazione mondiale della sanità, dal canto suo… ha reso noti dati da brividi: nel 2000 sono morte 1.260.000 persone per incidenti stradali, e 815mila si sono tolte la vita. Un tempo, quando gli intellettuali pensavano, e il sistema permetteva ragionamenti che non fossero puro e irritante intrattenimento, si era sviluppata l?idea del malessere dell?uomo moderno, del suo bisogno di trovare risposte alle domande che lo inquietavano. Era il malessere, paradossalmente, generato dal benessere.
Poi su questo malessere è calato il sipario, come risolto d?incanto, cancellato da una quotidianità dove le immagini idiote e serene imposte dal sistema mediatico hanno occupato dolcemente le coscienze, con una forma di nuovo totalitarismo, che l?uomo non aveva forse mai sperimentato. Ma quanti pezzi di realtà restavano e restano estranei o estromessi da questo meccanismo inglobante? Difficile dirlo, perché è una contabilità che nessuno sembra più abilitato a tenere. E non ci riferiamo solo all?emarginazione di tipo economico o sociale che ha ancora un suo minimo di visibilità. Ci riferiamo a tutta quell?altra emarginazione psicologica, umana che viene atrocemente silenziata sino a quando non esplode in un?irrazionalità che riempie il grande circo della cronaca e della pruderie collettiva. Nell?Occidente orgoglioso delle sue vittorie è vietato guardarsi e guardare dentro. È vietato pensare che il suo modello oltre a tanti, in genere, stupidissimi, vincitori, partorisca la disperazione di tanti vinti. Ma, censurando i vinti, li si sconfigge due volte. Ci sono state stagioni in cui ai vinti si concedeva almeno l?epopea del dolore, un angusto diritto di cittadinanza. Oggi invece i vinti sono una categoria da cancellare perché concettualmente nemica a chi propaganda i modelli vincenti, in grado di esaudire ogni bisogno. Modelli così sicuri della propria superiorità da creare nuovi bisogni per dimostrare la propria inesauribile capacità di esaudirli.
Ma la realtà è un?altra cosa. Nella realtà ci sono tanti angoli bui in cui, muti, se ne stanno i nuovi vinti. Se l?Occidente avesse conservato il meglio di se stesso, riserverebbe almeno uno sguardo di pietà verso di loro. Invece l?Occidente vincitore non conosce la pietà, soprattutto in casa propria. Per questo il saper guardare negli occhi i nuovi vinti, fermarsi per porger loro una mano, ascoltare le loro, magari, sconclusionate ragioni, è un atto, oltre che umano, profondamente rivoluzionario. È un segno di cambiamento, di attaccamento all?umano in un mondo che implacabilmente dà diritto di cittadinanza solo ai vincitori. È un segno piccolo, quotidiano che un mondo diverso non solo è possibile ma è già in atto.

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